Uno dei più antichi componimenti della letteratura italiana (1231-1250) è il «Contrasto amoroso»in lingua volgare di “amante e madonna”di Cielo D’Alcamo, che prende il nome dal verso iniziale: «Rosa fresca aulentissima».
I due personaggi, un giullare e una ragazza, si producono in un gioco spontaneo e vivace di botta e risposta con la vittoria finale del corteggiatore.
Anche nella memoria calabrese è tuttora vivo il “contrasto” tra un giovane e un’onesta fanciulla, ignara della scommessa fatta dai suoi sette fratelli con l’audace avventuriero.
Gesù entra a Gerusalemme – Verifica delle profezie
Conoscendo Gesù le Sacre Scritture, credeva nella predizione, per cui, nel suo convincimento, recandosi a Gerusalemme, fece in modo che le profezie si realizzassero nella sua persona, assecondando così la volontà di Dio e consentendo anche che si annullassero i peccati della sua gente. Resta in ogni modo un fatto, che se il Messia era atteso come un conquistatore terrestre che conquistasse da vittorioso Gerusalemme con le armi e con il fuoco, perchè doveva dare a se stesso potenza e gloria, Gesù v’arrivò invece, in modo diverso e raggiunse il fine maggiore attraverso la sofferenza ed il sacrificio.
DA CARERI AL MONDO DELLA CULTURA E DELLA MEDICINA ITALIANA
Le principali e fondamentali opere di Francesco La Cava sono state ufficialmente ordinate, seguendo un percorso cronologico di interessi di vario ordine, in quattro gruppi o categorie principali:
GRUPPO A che raccoglie gli studi e ricerche prettamente medico- scientifiche; GRUPPO B lo studio relativo alla scoperta del “Volto di Michelangelo” nel “Giudizio Finale” della Cappella Sistina a Roma; GRUPPO C contempla gli studi scientifico-religiosi; GRUPPO D riguarda gli studi Filologici- Evangelici.
A nostro avviso, anche se di diversa natura, esiste un altro gruppo di documenti che contribuisce, con carattere di complementarietà, a delineare la complessa ed eclettica personalità di un uomo, legato fortemente ai valori cristiani della famiglia e di una professione, protesa a lenire le sofferenze di un prossimo bisognoso di soccorso.
L’aver letto su un quotidiano nazionale alcune riflessioni sull’essere stati bambini negli anni ’50 mi ha indotto a ricordare la mia infanzia vissuta negli anni ’40. Essendo nato nel 1941, essa si svolse a cavallo degli anni suddetti e gli anni ’50. Proverò a narrare i miei ricordi ed i ricordi di cose che mi furono raccontate. Parlerò come se fossi ad una riunione di amici coetanei, dove ognuno dice le sue cose. Non sarà un trattato di antropologia sociale, ma saranno solo riportate cose viste e vissute più di mezzo secolo fa; e non saranno nemmeno “Le memorie di ottuagenario”, non ho l’età e d’altronde quelle sono state già scritte. Le cose che saranno raccontate nascono solo dai ricordi e tutt’alpiù saranno filtrate dalle esperienze e conoscenze acquisite in seguito. Non saranno consultati libri né esperti; imprecisioni, anacronismi, omissioni saranno tali perché così sono contenuti nei ricordi. Verrà fuori, almeno spero, la testimonianza di un’epoca di ristrettezze e povertà, ma non solo, vissuta da un bambino fra bambini venuti fuori da una grande guerra.
“BRIGANTI SI MUORE …” in storie di Calabria e del Sud
Nel brigantaggio femminile, le drude, cioè le compagne dei capibanda, donne passionali e crudeli, feroci e determinati più degli uomini, venivano viste come figure femminili ribelli alla concezione di sudditanza agli uomini, in cui la società le poneva. Il loro comportamento reazionario era a protezione della famiglia, dei figli e degli uomini e la loro ribellione si poneva contro una mentalità sociale, economica e politica nella quale venivano poste nella società dell’epoca.
Quando venivano condannate a morte, affrontavano quel momento con dignità e coraggio.
Ma la fame ed il freddo uccideva anche molti di questi briganti e ci fu anche chi si suicidò per non cadere nelle mani del nemico e per non finire i suoi giorni in una cella di un carcere dopo essere vissuto sempre da libero nei boschi. Ma vi furono anche quelli che presentatisi innanzi all’esercito regolare nella speranza di ottenere un atto di clemenza, successivamente furono impiccati o fucilati sul posto, oppure, a seguito di condanne, finirono i loro giorni in carcere per malattie e stenti.
Il percorso culturale, materializzato con questo lavoro, si concatena, prioritariamente, a due specifici periodi storici, tra loro separati da un arco temporale di c.a. 10 secoli.
L’arco temporale, infatti, ha come estremi la classica Civiltà Greca, generatrice di un vitale movimento di Colonizzazione, anche verso le terre d’Occidente, e la Civiltà Bizantina, correlata ad un vasto ed intenso processo di ellenizzazione del Bruzio ed in generale dei territori dell’Italia Centro Meridionale ed insulari, a partire dal VI sec. d. C. c.a.
In tale contesto si inserisce, questa compendiata analisi conoscitiva sulle colonie greche nell’Italia Meridionale, specialmente di quelle Calabresi.
Lo studio intrapreso può, senz’altro, recare un positivo contributo per l’approfondimento di quei caratteri legati alla nostra primordiale identità etnica e culturale.
Nel quadro storico, economico e sociale di riferimento si colloca, infatti, “la questione grecanica”, il complesso, cioè, dei problemi storici, linguistici, etnici, culturali e religiosi relativi alle popolazioni ellenofone di Calabria e, più generalmente, dei Greci d’Italia.
Il presente “Dossier” sulla “vexata quaestio” non ha, certo, la pretesa di dare, in merito, dei dati definitivi e, tantomeno, di giungere a soluzioni precise e conclusive; ma ha solamente lo scopo di riesaminare e, perché no, di riproporre all’attenzione degli studiosi uno degli aspetti più interessanti della questione, cioè quello storico, che in nessun modo può essere disgiunto da quello linguistico.
Il brigantaggio è sempre esistito, sia in forma singola che in forma associativa, mentre il “bando”, da cui il termine “bandito”, soprattutto nel Medioevo, era il provvedimento che un’autorità emetteva nei confronti di un persona o di un gruppo che doveva essere allontanato, esiliato, perché aveva commesso reati di opinione o atti lesivi verso la quiete pubblica.
Col tempo il termine “bandito” si è attenuato e così venne chiamato “brigantaggio”, nel quale si classificavano reati particolarmente criminali come omicidi, rapine, furti, stupri, ricatti e minacce, insomma azioni da briganti.
Il termine “brigantaggio”, si fa quindi derivare dal verbo “brigare”, cioè lottare, combattere, ma con obiettivi malvagi, contrapponendolo alla parola banditismo, che anche se similare, aveva una diversa più attenuata, temporale lettura.
Questo fenomeno si allargò enormemente su vasta scala nazionale nel XVI secolo, e soprattutto si sviluppò nel Centro-Sud italiano, allorché “un solitario”, al fine di mettere in atto azioni delittuose più impegnative, si aggregava ad altri per organizzare una vera e propria banda, che poi collegialmente agiva, per compiere furti, rapine, assassini, sequestri e ricatti.
Così il brigantaggio, divenne reazione e lotta armata contro i grandi proprietari terrieri, contro i contadini, contro l’eccessiva fiscalità, contro il potere governativo, per divenire, dopo l’unificazione del territorio italiano sotto il re Vittorio Emanuele II di Savoia, anche lotta contro lo strapotere dei piemontesi.