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Testamento epigrafico di Manio Megonio

Il Testamento epigrafico
e l’eredità dei vigneti aminei
di Manio Megonio
a Petelia (Strongoli)

Di Mario Dottore abbiamo già avuto il piacere di leggere un prezioso intervento su “La Ciminiera(Aprile 2021) apprezzandone le sue capacità di analisi e acutezza nelle argomentazioni storiche.
In questa nuovo intervento ci trasporta nel mondo delle scienze agrarie che è origine, dal punto di vista storico-tecnologico, del mondo agricolo e di quella che è stata, in parte, l’origine e la fortuna viticola della zona crotonese e della coltivazione e impianto delle vigne aminee.
Spunto di questo viaggio è il testamento epigrafico di Manio Megonio (138-161 d.C.) dove distribuisce i suo averi e proprietà con chiare indicazioni per la preservazione delle sue “amate” viti aminee nel territorio della città magno greca di Petelia (oggi Strongoli nella provincia di Crotone).
Nel ringraziare il dott. Mario Dottore, per aver condiviso questo importante e significativo momento storico, dedichiamo questo Quaderno a chi ama la Calabria e la sua storia fatta non solo di battaglie e condottieri ma anche di numerose eccellenze agroalimentari.
Buona Lettura.

LEGGI-SALVA : iQuaderni n.ro 09-2021 di Mario Dottore

Per la stampa: Il formato del volume è un A5 (148 x 210 millimetri).

E’ uscito Odisseo n. 12

Ben ritrovati.
E’ appena uscito il nuovo numero di “Odisseo, il viaggio, la ricerca”, la rivista di ricerca scientifica edita dal Centro Studi Bruttium e giunta ormai al suo sesto anno di vita, con il n. 12.

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Il numero che vi apprestate a leggere è in realtà una monografia, dedicata all’identità dei Romani e di Roma antica, un lungo excursus che attraverso l’urbanistica, l’architettura, la storia, l’antropologia, la letteratura cerca di dare un quadro di insieme su come i Romani si vedevano e, soprattutto, volevano farsi vedere.

La rivista può essere scaricata a questo indirizzo
Oppure può essere letta online nel box che segue

Odisseo n. 11 è arrivato!

Ben ritrovati.
E’ appena uscito il nuovo numero di “Odisseo, il viaggio, la ricerca”, la rivista di ricerca scientifica edita dal Centro Studi Bruttium e giunta ormai al n. 11.
In questo numero, due articoli di Raoul Elia affrontano due aspetti particolarmente ostici e poco conosciuti della tradizione romana, ovvero il mito di Tarpea e la precisione degli Argei.

La rivista può essere scaricata a questo indirizzo
Oppure può essere letta online nel box che segue

Buona lettura

AB URBE CONDITA ARTICULA PUNTATA 1: DEI DELLA GUERRA

Agli studiosi di antichità romane sembrerà un luogo comune ma per molti, soprattutto se convinti che gli dei i romani li avessero preso dai greci cambiando i nomi per non far vedere di essere spudorati, la notizia sembrerà assurda pure è vera: i romani avevano un pantheon ampio, molto ampio (certo più di quello greco) e molto ma molto confuso.
Basta pensare al fatto che i Romani avevano ben 10 divinità collegate in qualche modo alla guerra:
Bellona, dea della guerra.
Giano, dio del passaggio dell’anno, le cui porte venivano aperte per dichiarare guerra.
Honos, dio della cavalleria, dell’onore e della giustizia militare.
Lua, dea delle armi a cui venivano sacrificati i soldati catturati in battaglia.
Marte, dio della guerra e dell’agricoltura, equivalente al greco Ares.
Minerva, dea della sapienza e della guerra, equivalente alla dea greca Atena.
Nerio (mitologia), dea guerriera e personificazione del coraggio.
Vica Pota, dea della vittoria.
Vittoria, personificazione della vittoria, equivalente alla greca Nike.
Virtus, spirito divino del coraggio e della forza militare.
Questa situazione, che potrà far credere ad una confusione, in chiaro contrasto con l’immagine, fredda ed ordinata del romano, è in realtà frutto del pragmatismo romano: ogni volta che i Romani evocavano una divinità avversaria, ad esempio, le offrivano un posto nel loro pantheon in cambio della fine della protezione della città rivale. In altre occasioni, soprattutto di grande crisi o di pericolo immane, si offriva un posto nel pantheon a divinità straniere per ingraziarsele e garantire maggiore protezione. Se proiettato nei nove secoli di guerre che hanno caratterizzato l’impero, stupisce che siano così pochi, gli dei della guerra.
Chiaramente, anche se tutti avevano un posto al calduccio, nei pensieri dei romani timorati degli dei, non tutti avevano lo stesso posto al sole. Alcune divinità avevano un posto d’onore (Marte aveva persino un tempio sul Campidoglio), di altre conosciamo appena la collocazione del sacello, di altre poco più di nomi e attributi.
Fra i più “raccomandati” fra gli dei c’è sicuramente Marte.

Statua di Marte nudo in un affresco di Pompei.
Statua di Marte nudo in un affresco di Pompei.

Divinità sia italica che prettamente romana, padre mitico del primo re di Roma Romolo, era dio guerriero ma anche divinità dell’agricoltura, soprattutto perché associato a fenomeni atmosferici come la tempesta e il fulmine. Assieme a Quirino e Giove, faceva parte della cosiddetta “Triade Capitolina arcaica”, che in seguito, su influsso della cultura etrusca, sarà invece costituita da Giove, Giunone e Minerva.
Il dio era non solo adorato a Roma, ma in tutta l’Italia centrale, per lo meno, come dimostrano i numerosi nomi che si ricollegano alla comune radice mar:
Marte era venerato con numerosi nomi sia dagli stessi latini, sia dagli altri popoli italici:
Mars
Marmar
Marmor
Mamers
Marpiter
Marspiter
Mavors (con quest’ultimo diffuso anche a Roma, tanto che si è pensato fosse la forma più arcaica del nome Mars)
Maris.

Gli antichi Sabini lo adoravano sotto l’effigie di una lancia chiamata “Quiris” da cui si racconta derivi il nome del dio Quirino, spesso identificato con Romolo.
Dunque dobbiamo ritenere che il padre del futuro primo re di Roma sia diventato dio della guerra come calco ellenistico del dio Ares, cui in parte somiglia? No, perché ai romani questo non poteva bastare.
Nell’iconografia tradizionale, Marte, come Ares, è rappresentato come un giovane aitante che indossa elmo e scudo e ha in mano una spada corta (il famoso gladium romano) o una lunga lancia (hasta). Tuttavia, nelle versioni più antiche e non ancora “grecizzate”, il dio è rappresentato con una lunga falce come un dio della coltivazione. Dunque i romani hanno “dirottato” un dio perché coincidesse con l’immagine di Ares?

Statua colossale di Marte:
Statua colossale di Marte: “Pirro” nei Musei capitolini a Roma. Fine del I secolo d.C.

No, perché l’associazione non è fatta a caso, ma si basa su un’associazione profonda: è vero che Marte è dio agricolo, ma, come rivelano le antiche leggende del periodo monarchico, è già dio degli eserciti vincitori, come dimostra il tempio sul Campidoglio, dove verosimilmente i legionari vittoriosi depositavano gli scudi degli avversari sconfitti.
Perché? Perché è anche il dio che difende la terra dagli aggressori e che protegge i contadini che difendono la loro terra. Dall’appezzamento di terra alla patria intera il passo è breve, dato che ogni civis romano è anche miles e agricola cioè soldato dell’esercito repubblicano (prima, perché poi, da Mario a seguire, nell’esercito si distingue fra milites, militari di ferma obbligatoria, e i soldati, ovvero i militari pagati con il solidus dal comandante) e piccolo proprietario terriero. A riprova dell’antichità dell’associazione Marte = guerra esiste la tradizione dei Salii, i sacerdoti di Marte.

Riproduzione di un ancile
Riproduzione di un ancile

I sacerdoti Salii,  riconoscibili dal resto del popolo per la loro tunica purpurea, il 1 marzo erano soliti percorrere in processione, cantando e percuotendo i 12 scudi sacri, varie zone di Roma, forse per “risvegliare l’animo bellico” della città. Era dunque una cerimonia di purificazione delle armi in vista dell’inaugurazione del periodo bellico, nel mese che dal dio della guerra Marte prendeva il nome. Non era infatti permesso prendere le armi o intentare qualunque guerra, anche giusta, prima della deposizione degli ancilia nel tempio (Tito Livio, Ad urbe condita, I, 20).
Secondo la legenda riportata da Ovidio (Ovidio, Fasti, III, 365 e sg, ma anche Plutarco, Numa, 13 Paul Fest., p. 117 L e Servio, Aen, VII, 188), durante una pestilenza, il re Numa Pompilio avrebbe supplicato gli dei perché allontanassero dalla città l’epidemia. Come segno della salvezza di Roma, sarebbe allora caduto dal cielo uno scudo: il prodigio sarebbe avvenuto proprio il primo di marzo.
Per preservare lo scudo da possibili tentativi di furto, Numa volle che se ne realizzassero 11 copie e custodi di tali oggetti divennero proprio i Salii.

Cavaliere salio da Palazzo Altemps
Cavaliere salio da Palazzo Altemps

Si narra però anche che la nascita dei Salii sarebbe molto più antica: ad istituire questo collegio sarebbe stato, molto prima della nascita di Roma, il re-dio Faunus, nipote di Marte, come primo culto iniziatico latino.

 Sitografia:

Pagina su Wikipedia dedicata al dio Marte
http://museoapr.it/il-1-marzo-nellantica-roma/

Bibliografia

Andrea Carandini. La nascita di Roma. Torino, Einaudi, 1997.

Renato Del Ponte. Dei e miti italici. Genova, ECIG, 1985.

Georges Dumézil. La religione romana arcaica. Milano, Rizzoli, 1977.

Jacqueline Champeux. La religione dei romani. Bologna, Il Mulino, 2002.