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AB URBE CONDITA ARTICULA PUNTATA 2: DEI DELLA GUERRA 2

La connessione con il mondo delle armi di Marte è testimoniata anche da un’altra leggenda che, anche se in modo indiretto, ci dice che gli scudi erano sacri al dio.
Narra infatti Livio che quando Tarquinio Prisco decise di “ristrutturare” il Campidoglio costruendovi sopra un vero e proprio tempio dedicato a Giove Ottimo Massimo, timoroso di non creare problemi fra la comunità e i suoi dei (era etrusco, del resto), prima di fare danni, decise di “importunare” gli dei che avevano un sacello, un recinto sacro, un’ara o quanto altro per chiedere loro se acconsentissero a spostarsi in altro sito per far posto al dio degli dei.
Tutti gli dei acconsentirono tranne Terminus, Juventus e Mars, che non vollero spostarsi.
Allora Tarquinio fece costruire il tempio rispettando i sacelli dei tre dei permalosi, ma, quasi per punirli, decise che questi dei sarebbero stati adorati in modo che nessuno potesse chiaramente riconoscerli.
Che successe al buon Marte?
Il dio non doveva avere un vero tempio (altrimenti si sarebbe parlato di “aedes”, che per i Romani individua un tempio coperto, sul modello greco, per intenderci), ma più probabilmente un sacello (ovvero un altare con copertura ma aperto sui lati) senza statua del dio. Probabilmente, come suggerisce Marcattili nel suo articolo Moles Martis, si trattava di un feticcio, cioè di un oggetto non antropomorfo che suggerisce una corrispondenza con il dio.
E’ molto probabile che questo feticcio fosse uno scudo, o meglio una catasta di scudi, ovviamente nemici, come suggerisce il fatto che i legionari romani depositano ai piedi del sacello gli scudi dei nemici sconfitti. Ma a questo si accennerà meglio, insieme al mito di Tarpa, in un prossimo numero della rivista associativa Odisseo.
I Salii in processione con gli scudi portati a spalla

Ma ritorniamo ai Salii.
Lo scudo non è l’unico elemento militare associato al padre di Romolo.
Nella Regia, infatti, erano conservate, fin dai tempi della Roma monarchica, le dodici lance consacrate a Marte, le hastae Martiae, usate negli stessi riti: si credeva che se queste avessero incominciato a vibrare, sarebbe accaduto qualcosa di terribile.
Secondo la leggenda, le aste vibrarono la notte del 14 marzo del 44 a. C. quando Giulio Cesare, che ricopriva la carica di Pontefice Massimo, venne ucciso nel Senato.
Al termine dei loro riti, riposte le sacre armi, i Salii banchettavano in un modo talmente opulento da essere divenuto proverbiale: lo cita anche Orazio nella sua famosissima ode sulla morte di Cleopatra, dal titolo significativo Nunc est bibendum (Odi, I, 37).
Anche l’elemento agricolo è molto antico nella sua attestazione.
Tre esempi: il Carmen Fratrum Arvale, la preghiera riportata da Catone (o Carmen Lustrale) e le “pietre buone”.
Il Carmen era in versi saturni. Si tratta di un inno rituale, redatto, nella versione pervenutaci, in un latino del VI –V secolo a.C. Era recitato durante le Ambarvalie, cerimonie religiose per i campi e, da quel che ci resta, possiamo dedurre che si trattasse di una preghiera rivolta ai Lari ed a Marte, affinché proteggessero gli uomini ed i raccolti. Così come accade per il Carmen Saliare, questa poesia era di difficile interpretazione già per i romani dell’età classica.
Alle Ambarvalie erano preposti i “Fratelli Arvali”, un collegio di (ancora una volta) dodici sacerdoti: essi avevano come insegne ghirlande di spighe e bende bianche; la loro funzione era quella di immolare gli animali rituali (si trattava dei suovetaurilia, ovvero il sacrificio di un montone (ovis), di un maiale (sus) e di un toro(taurus)) dopo averli portati per i campi, di fare libagioni in onore degli dei e poi di recitare il carme, accompagnandolo con danza.
Il nome del collegio è collegato alle parole arvum o aruum, la “terra lavorata”. Plinio il Vecchio ci dice che questo collegio fu fondato da Romolo stesso, e i primi “fratres” furono lui stesso e gli undici figli di Faustolo ed Acca Larenzia, il pastore e la moglie che accolsero ed allevarono Romolo e Remo.
Il culto più arcaico era rivolto alla dea Dia e a Marmar o Mavors, poi confluiti nelle figure di Cerere e Mars Pater. Se ne può dedurre che il legame con la terra e i campi di Marte sia molto integrato nella cultura romana delle origini.
Altro esempio: la preghiera di Catone.
Marco Porcio Catone senior, detto “il censore”, è stato un uomo politico e uno storico romano di età repubblicana. Conservatore di posizione politica e culturale, ha redatto un manuale di storia delle origini (purtroppo perduto) dal significativo titolo di “Origines” e un manuale di gestione del latifondo, dal significativo titolo di “De Agri Cultura“.
Nel suo libro (frag. 141, 2-3), Catone riporta una preghiera a Marte, in qualità di protettore dei campi, per chiedergli di difendere i propri campi da malattie e sciagure. Il carme, chiamato Carmen Lustrale, presenta elementi della lingua orale e una tendenza alla ripetizione che lo rende simile alla preghiera cristiana.
Eccolo di seguito.

« Mars pater te precor quaesoque
uti sies volens propitius
mihi domo familiaeque nostrae.
Quoius rei ergo
agrum terram fundumque meum
suovitaurilia circumagi iussi,
uti tu morbos visos invisosque
viduertatem vastitudinemque,
calamitates intemperiasque
prohibessis defendas averruncesque,
utiques tu fruges frumenta,
vineta virgultaque,
grandire beneque evenire siris,
pastores pecuaque
salva servassis,
duisque bonam salutem valetudinemque
mihi domo familiaeque nostrae:
harunce rerum ergo,
fundi terrae agrique mei lustrandi
lustrique faciendi ergo,
sicuti dixi,
macte hisce suovitaurilibus
lactentibus inmolandis esto. »
« O padre Marte
ti prego e scongiuro,
perché tu sia favorevole e propizio
a me alla casa e alla nostra famiglia.
E per questa grazia
intorno al mio campo, alla mia terra e al mio fondo
un porco, un montone e un toro ho fatto condurre
perché tu i mali visibili e invisibili
la sciagura e la devastazione
la calamità e le intemperie
impedisca, scacci e allontani,
e perché le messi, il grano,
i vigneti e i virgulti,
tu li lasci crescere bene e svilupparsi,
e i pastori e le greggi
li conservi sani e salvi,
e buona salute e prosperità tu dia
a me, alla mia casa e alla mia famiglia:
dunque, per queste cose,
per purificare il fondo, la terra e il mio campo,
per ottenere la purificazione,
come ho detto,
sii onorato con il sacrificio
di questo porco, di questo montone e di questo toro ancora lattonzoli.

E veniamo al terzo esempio.
Nel tempio di Marte a Porta Capena, inoltre, erano conservate le Lapides Manales, “le pietre buone” o “dei Mani”, protagoniste del rito dell’aquilicium o “invocazione della pioggia”: nei periodi di siccità venivano prelevate dal tempio e fatte rotolare nei campi per ottenere la pioggia
Questo rituale evidenzia in modo particolare il primordiale carattere “pluvio” e “fertilizzatore” di Marte, che porta la pioggia, fondamentale per l’economia, sostanzialmente agricola, della Roma arcaica, sia monarchica che, soprattutto, proto-repubblicana.

Bibliografia

Aigner Foresti L., 1993, Oggetti di profezia politica: gli ‘ancilia’ del ‘Collegium Saliorum’, in PROFEZIA, pp. 159-168.

Arata F.P., 2010, Osservazioni sulla topografia sacra dell’Arx Capitolina, in MEFRA,122, 2010, pp. 117-146

Borgna E., 1993, Ancile e arma ancilia. Osservazioni sullo scudo dei Salii, in Ostraka, 2, 1993, pp. 9-42

Carandini A., 1997, La nascita di Roma. Dèi, Lari, eroi e uomini all’alba di una civiltà, Torino 1997.

Marcattili F., 1989, Moles Martis, il turpe sepulcrum di Tarpea e la Luna dell’Arx, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, n. 1 (1987/88), Roma, L’Erma di Bretschneider, 1989, p. 7-31

Preller, Romysche Mitologie, citato in R. Del Ponte, Dei e miti italici – Archetipi e forme della sacralità romano-italica, ECIG, 3a ed. 1988
Williams G., Le origini della poesia a Roma in AAVV, La letteratura latina della Cambridge University, Milano, Mondadori, 1991.
Pontiggia G., Grandi M.C., Letteratura latina. Storia e testi, Milano, Principato, 1996.

Sitografia

http://deiuominimiti.blogspot.it/2014/05/scudi-mitici-secondo-intermezzo-lo.html

AB URBE CONDITA ARTICULA PUNTATA 1: DEI DELLA GUERRA

Agli studiosi di antichità romane sembrerà un luogo comune ma per molti, soprattutto se convinti che gli dei i romani li avessero preso dai greci cambiando i nomi per non far vedere di essere spudorati, la notizia sembrerà assurda pure è vera: i romani avevano un pantheon ampio, molto ampio (certo più di quello greco) e molto ma molto confuso.
Basta pensare al fatto che i Romani avevano ben 10 divinità collegate in qualche modo alla guerra:
Bellona, dea della guerra.
Giano, dio del passaggio dell’anno, le cui porte venivano aperte per dichiarare guerra.
Honos, dio della cavalleria, dell’onore e della giustizia militare.
Lua, dea delle armi a cui venivano sacrificati i soldati catturati in battaglia.
Marte, dio della guerra e dell’agricoltura, equivalente al greco Ares.
Minerva, dea della sapienza e della guerra, equivalente alla dea greca Atena.
Nerio (mitologia), dea guerriera e personificazione del coraggio.
Vica Pota, dea della vittoria.
Vittoria, personificazione della vittoria, equivalente alla greca Nike.
Virtus, spirito divino del coraggio e della forza militare.
Questa situazione, che potrà far credere ad una confusione, in chiaro contrasto con l’immagine, fredda ed ordinata del romano, è in realtà frutto del pragmatismo romano: ogni volta che i Romani evocavano una divinità avversaria, ad esempio, le offrivano un posto nel loro pantheon in cambio della fine della protezione della città rivale. In altre occasioni, soprattutto di grande crisi o di pericolo immane, si offriva un posto nel pantheon a divinità straniere per ingraziarsele e garantire maggiore protezione. Se proiettato nei nove secoli di guerre che hanno caratterizzato l’impero, stupisce che siano così pochi, gli dei della guerra.
Chiaramente, anche se tutti avevano un posto al calduccio, nei pensieri dei romani timorati degli dei, non tutti avevano lo stesso posto al sole. Alcune divinità avevano un posto d’onore (Marte aveva persino un tempio sul Campidoglio), di altre conosciamo appena la collocazione del sacello, di altre poco più di nomi e attributi.
Fra i più “raccomandati” fra gli dei c’è sicuramente Marte.

Statua di Marte nudo in un affresco di Pompei.
Statua di Marte nudo in un affresco di Pompei.

Divinità sia italica che prettamente romana, padre mitico del primo re di Roma Romolo, era dio guerriero ma anche divinità dell’agricoltura, soprattutto perché associato a fenomeni atmosferici come la tempesta e il fulmine. Assieme a Quirino e Giove, faceva parte della cosiddetta “Triade Capitolina arcaica”, che in seguito, su influsso della cultura etrusca, sarà invece costituita da Giove, Giunone e Minerva.
Il dio era non solo adorato a Roma, ma in tutta l’Italia centrale, per lo meno, come dimostrano i numerosi nomi che si ricollegano alla comune radice mar:
Marte era venerato con numerosi nomi sia dagli stessi latini, sia dagli altri popoli italici:
Mars
Marmar
Marmor
Mamers
Marpiter
Marspiter
Mavors (con quest’ultimo diffuso anche a Roma, tanto che si è pensato fosse la forma più arcaica del nome Mars)
Maris.

Gli antichi Sabini lo adoravano sotto l’effigie di una lancia chiamata “Quiris” da cui si racconta derivi il nome del dio Quirino, spesso identificato con Romolo.
Dunque dobbiamo ritenere che il padre del futuro primo re di Roma sia diventato dio della guerra come calco ellenistico del dio Ares, cui in parte somiglia? No, perché ai romani questo non poteva bastare.
Nell’iconografia tradizionale, Marte, come Ares, è rappresentato come un giovane aitante che indossa elmo e scudo e ha in mano una spada corta (il famoso gladium romano) o una lunga lancia (hasta). Tuttavia, nelle versioni più antiche e non ancora “grecizzate”, il dio è rappresentato con una lunga falce come un dio della coltivazione. Dunque i romani hanno “dirottato” un dio perché coincidesse con l’immagine di Ares?

Statua colossale di Marte:
Statua colossale di Marte: “Pirro” nei Musei capitolini a Roma. Fine del I secolo d.C.

No, perché l’associazione non è fatta a caso, ma si basa su un’associazione profonda: è vero che Marte è dio agricolo, ma, come rivelano le antiche leggende del periodo monarchico, è già dio degli eserciti vincitori, come dimostra il tempio sul Campidoglio, dove verosimilmente i legionari vittoriosi depositavano gli scudi degli avversari sconfitti.
Perché? Perché è anche il dio che difende la terra dagli aggressori e che protegge i contadini che difendono la loro terra. Dall’appezzamento di terra alla patria intera il passo è breve, dato che ogni civis romano è anche miles e agricola cioè soldato dell’esercito repubblicano (prima, perché poi, da Mario a seguire, nell’esercito si distingue fra milites, militari di ferma obbligatoria, e i soldati, ovvero i militari pagati con il solidus dal comandante) e piccolo proprietario terriero. A riprova dell’antichità dell’associazione Marte = guerra esiste la tradizione dei Salii, i sacerdoti di Marte.

Riproduzione di un ancile
Riproduzione di un ancile

I sacerdoti Salii,  riconoscibili dal resto del popolo per la loro tunica purpurea, il 1 marzo erano soliti percorrere in processione, cantando e percuotendo i 12 scudi sacri, varie zone di Roma, forse per “risvegliare l’animo bellico” della città. Era dunque una cerimonia di purificazione delle armi in vista dell’inaugurazione del periodo bellico, nel mese che dal dio della guerra Marte prendeva il nome. Non era infatti permesso prendere le armi o intentare qualunque guerra, anche giusta, prima della deposizione degli ancilia nel tempio (Tito Livio, Ad urbe condita, I, 20).
Secondo la legenda riportata da Ovidio (Ovidio, Fasti, III, 365 e sg, ma anche Plutarco, Numa, 13 Paul Fest., p. 117 L e Servio, Aen, VII, 188), durante una pestilenza, il re Numa Pompilio avrebbe supplicato gli dei perché allontanassero dalla città l’epidemia. Come segno della salvezza di Roma, sarebbe allora caduto dal cielo uno scudo: il prodigio sarebbe avvenuto proprio il primo di marzo.
Per preservare lo scudo da possibili tentativi di furto, Numa volle che se ne realizzassero 11 copie e custodi di tali oggetti divennero proprio i Salii.

Cavaliere salio da Palazzo Altemps
Cavaliere salio da Palazzo Altemps

Si narra però anche che la nascita dei Salii sarebbe molto più antica: ad istituire questo collegio sarebbe stato, molto prima della nascita di Roma, il re-dio Faunus, nipote di Marte, come primo culto iniziatico latino.

 Sitografia:

Pagina su Wikipedia dedicata al dio Marte
http://museoapr.it/il-1-marzo-nellantica-roma/

Bibliografia

Andrea Carandini. La nascita di Roma. Torino, Einaudi, 1997.

Renato Del Ponte. Dei e miti italici. Genova, ECIG, 1985.

Georges Dumézil. La religione romana arcaica. Milano, Rizzoli, 1977.

Jacqueline Champeux. La religione dei romani. Bologna, Il Mulino, 2002.