Leggendo nuovi fumetti d’Oltreoceano, capita di beccare piccoli gioielli come questa miniserie della Dark Horse, che mescola supereroi e omosessualità: Barbalien: Red planet

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Ma ritorniamo ai Salii.
Lo scudo non è l’unico elemento militare associato al padre di Romolo.
Nella Regia, infatti, erano conservate, fin dai tempi della Roma monarchica, le dodici lance consacrate a Marte, le hastae Martiae, usate negli stessi riti: si credeva che se queste avessero incominciato a vibrare, sarebbe accaduto qualcosa di terribile.
Secondo la leggenda, le aste vibrarono la notte del 14 marzo del 44 a. C. quando Giulio Cesare, che ricopriva la carica di Pontefice Massimo, venne ucciso nel Senato.
Al termine dei loro riti, riposte le sacre armi, i Salii banchettavano in un modo talmente opulento da essere divenuto proverbiale: lo cita anche Orazio nella sua famosissima ode sulla morte di Cleopatra, dal titolo significativo Nunc est bibendum (Odi, I, 37).
Anche l’elemento agricolo è molto antico nella sua attestazione.
Tre esempi: il Carmen Fratrum Arvale, la preghiera riportata da Catone (o Carmen Lustrale) e le “pietre buone”.
Il Carmen era in versi saturni. Si tratta di un inno rituale, redatto, nella versione pervenutaci, in un latino del VI –V secolo a.C. Era recitato durante le Ambarvalie, cerimonie religiose per i campi e, da quel che ci resta, possiamo dedurre che si trattasse di una preghiera rivolta ai Lari ed a Marte, affinché proteggessero gli uomini ed i raccolti. Così come accade per il Carmen Saliare, questa poesia era di difficile interpretazione già per i romani dell’età classica.
Alle Ambarvalie erano preposti i “Fratelli Arvali”, un collegio di (ancora una volta) dodici sacerdoti: essi avevano come insegne ghirlande di spighe e bende bianche; la loro funzione era quella di immolare gli animali rituali (si trattava dei suovetaurilia, ovvero il sacrificio di un montone (ovis), di un maiale (sus) e di un toro(taurus)) dopo averli portati per i campi, di fare libagioni in onore degli dei e poi di recitare il carme, accompagnandolo con danza.
Il nome del collegio è collegato alle parole arvum o aruum, la “terra lavorata”. Plinio il Vecchio ci dice che questo collegio fu fondato da Romolo stesso, e i primi “fratres” furono lui stesso e gli undici figli di Faustolo ed Acca Larenzia, il pastore e la moglie che accolsero ed allevarono Romolo e Remo.
Il culto più arcaico era rivolto alla dea Dia e a Marmar o Mavors, poi confluiti nelle figure di Cerere e Mars Pater. Se ne può dedurre che il legame con la terra e i campi di Marte sia molto integrato nella cultura romana delle origini.
Altro esempio: la preghiera di Catone.
Marco Porcio Catone senior, detto “il censore”, è stato un uomo politico e uno storico romano di età repubblicana. Conservatore di posizione politica e culturale, ha redatto un manuale di storia delle origini (purtroppo perduto) dal significativo titolo di “Origines” e un manuale di gestione del latifondo, dal significativo titolo di “De Agri Cultura“.
Nel suo libro (frag. 141, 2-3), Catone riporta una preghiera a Marte, in qualità di protettore dei campi, per chiedergli di difendere i propri campi da malattie e sciagure. Il carme, chiamato Carmen Lustrale, presenta elementi della lingua orale e una tendenza alla ripetizione che lo rende simile alla preghiera cristiana.
Eccolo di seguito.
« Mars pater te precor quaesoque uti sies volens propitius mihi domo familiaeque nostrae. Quoius rei ergo agrum terram fundumque meum suovitaurilia circumagi iussi, uti tu morbos visos invisosque viduertatem vastitudinemque, calamitates intemperiasque prohibessis defendas averruncesque, utiques tu fruges frumenta, vineta virgultaque, grandire beneque evenire siris, pastores pecuaque salva servassis, duisque bonam salutem valetudinemque mihi domo familiaeque nostrae: harunce rerum ergo, fundi terrae agrique mei lustrandi lustrique faciendi ergo, sicuti dixi, macte hisce suovitaurilibus lactentibus inmolandis esto. » |
« O padre Marte ti prego e scongiuro, perché tu sia favorevole e propizio a me alla casa e alla nostra famiglia. E per questa grazia intorno al mio campo, alla mia terra e al mio fondo un porco, un montone e un toro ho fatto condurre perché tu i mali visibili e invisibili la sciagura e la devastazione la calamità e le intemperie impedisca, scacci e allontani, e perché le messi, il grano, i vigneti e i virgulti, tu li lasci crescere bene e svilupparsi, e i pastori e le greggi li conservi sani e salvi, e buona salute e prosperità tu dia a me, alla mia casa e alla mia famiglia: dunque, per queste cose, per purificare il fondo, la terra e il mio campo, per ottenere la purificazione, come ho detto, sii onorato con il sacrificio di questo porco, di questo montone e di questo toro ancora lattonzoli. |
E veniamo al terzo esempio.
Nel tempio di Marte a Porta Capena, inoltre, erano conservate le Lapides Manales, “le pietre buone” o “dei Mani”, protagoniste del rito dell’aquilicium o “invocazione della pioggia”: nei periodi di siccità venivano prelevate dal tempio e fatte rotolare nei campi per ottenere la pioggia
Questo rituale evidenzia in modo particolare il primordiale carattere “pluvio” e “fertilizzatore” di Marte, che porta la pioggia, fondamentale per l’economia, sostanzialmente agricola, della Roma arcaica, sia monarchica che, soprattutto, proto-repubblicana.
Aigner Foresti L., 1993, Oggetti di profezia politica: gli ‘ancilia’ del ‘Collegium Saliorum’, in PROFEZIA, pp. 159-168.
Arata F.P., 2010, Osservazioni sulla topografia sacra dell’Arx Capitolina, in MEFRA,122, 2010, pp. 117-146
Borgna E., 1993, Ancile e arma ancilia. Osservazioni sullo scudo dei Salii, in Ostraka, 2, 1993, pp. 9-42
Carandini A., 1997, La nascita di Roma. Dèi, Lari, eroi e uomini all’alba di una civiltà, Torino 1997.
Marcattili F., 1989, Moles Martis, il turpe sepulcrum di Tarpea e la Luna dell’Arx, in Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma, n. 1 (1987/88), Roma, L’Erma di Bretschneider, 1989, p. 7-31
Preller, Romysche Mitologie, citato in R. Del Ponte, Dei e miti italici – Archetipi e forme della sacralità romano-italica, ECIG, 3a ed. 1988
Williams G., Le origini della poesia a Roma in AAVV, La letteratura latina della Cambridge University, Milano, Mondadori, 1991.
Pontiggia G., Grandi M.C., Letteratura latina. Storia e testi, Milano, Principato, 1996.
http://deiuominimiti.blogspot.it/2014/05/scudi-mitici-secondo-intermezzo-lo.html
Divinità sia italica che prettamente romana, padre mitico del primo re di Roma Romolo, era dio guerriero ma anche divinità dell’agricoltura, soprattutto perché associato a fenomeni atmosferici come la tempesta e il fulmine. Assieme a Quirino e Giove, faceva parte della cosiddetta “Triade Capitolina arcaica”, che in seguito, su influsso della cultura etrusca, sarà invece costituita da Giove, Giunone e Minerva.
Il dio era non solo adorato a Roma, ma in tutta l’Italia centrale, per lo meno, come dimostrano i numerosi nomi che si ricollegano alla comune radice mar:
Marte era venerato con numerosi nomi sia dagli stessi latini, sia dagli altri popoli italici:
Mars
Marmar
Marmor
Mamers
Marpiter
Marspiter
Mavors (con quest’ultimo diffuso anche a Roma, tanto che si è pensato fosse la forma più arcaica del nome Mars)
Maris.
Gli antichi Sabini lo adoravano sotto l’effigie di una lancia chiamata “Quiris” da cui si racconta derivi il nome del dio Quirino, spesso identificato con Romolo.
Dunque dobbiamo ritenere che il padre del futuro primo re di Roma sia diventato dio della guerra come calco ellenistico del dio Ares, cui in parte somiglia? No, perché ai romani questo non poteva bastare.
Nell’iconografia tradizionale, Marte, come Ares, è rappresentato come un giovane aitante che indossa elmo e scudo e ha in mano una spada corta (il famoso gladium romano) o una lunga lancia (hasta). Tuttavia, nelle versioni più antiche e non ancora “grecizzate”, il dio è rappresentato con una lunga falce come un dio della coltivazione. Dunque i romani hanno “dirottato” un dio perché coincidesse con l’immagine di Ares?
No, perché l’associazione non è fatta a caso, ma si basa su un’associazione profonda: è vero che Marte è dio agricolo, ma, come rivelano le antiche leggende del periodo monarchico, è già dio degli eserciti vincitori, come dimostra il tempio sul Campidoglio, dove verosimilmente i legionari vittoriosi depositavano gli scudi degli avversari sconfitti.
Perché? Perché è anche il dio che difende la terra dagli aggressori e che protegge i contadini che difendono la loro terra. Dall’appezzamento di terra alla patria intera il passo è breve, dato che ogni civis romano è anche miles e agricola cioè soldato dell’esercito repubblicano (prima, perché poi, da Mario a seguire, nell’esercito si distingue fra milites, militari di ferma obbligatoria, e i soldati, ovvero i militari pagati con il solidus dal comandante) e piccolo proprietario terriero. A riprova dell’antichità dell’associazione Marte = guerra esiste la tradizione dei Salii, i sacerdoti di Marte.
I sacerdoti Salii, riconoscibili dal resto del popolo per la loro tunica purpurea, il 1 marzo erano soliti percorrere in processione, cantando e percuotendo i 12 scudi sacri, varie zone di Roma, forse per “risvegliare l’animo bellico” della città. Era dunque una cerimonia di purificazione delle armi in vista dell’inaugurazione del periodo bellico, nel mese che dal dio della guerra Marte prendeva il nome. Non era infatti permesso prendere le armi o intentare qualunque guerra, anche giusta, prima della deposizione degli ancilia nel tempio (Tito Livio, Ad urbe condita, I, 20).
Secondo la legenda riportata da Ovidio (Ovidio, Fasti, III, 365 e sg, ma anche Plutarco, Numa, 13 Paul Fest., p. 117 L e Servio, Aen, VII, 188), durante una pestilenza, il re Numa Pompilio avrebbe supplicato gli dei perché allontanassero dalla città l’epidemia. Come segno della salvezza di Roma, sarebbe allora caduto dal cielo uno scudo: il prodigio sarebbe avvenuto proprio il primo di marzo.
Per preservare lo scudo da possibili tentativi di furto, Numa volle che se ne realizzassero 11 copie e custodi di tali oggetti divennero proprio i Salii.
Si narra però anche che la nascita dei Salii sarebbe molto più antica: ad istituire questo collegio sarebbe stato, molto prima della nascita di Roma, il re-dio Faunus, nipote di Marte, come primo culto iniziatico latino.
Pagina su Wikipedia dedicata al dio Marte
http://museoapr.it/il-1-marzo-nellantica-roma/
Andrea Carandini. La nascita di Roma. Torino, Einaudi, 1997.
Renato Del Ponte. Dei e miti italici. Genova, ECIG, 1985.
Georges Dumézil. La religione romana arcaica. Milano, Rizzoli, 1977.
Jacqueline Champeux. La religione dei romani. Bologna, Il Mulino, 2002.